4-5/09 - Quanti Terremoti?

Non è possibile evitare di porci domande di fronte alle tragedie come il terremoto, che recentemente ha colpito l’Abruzzo e la nobile città dell’Aquila. Purtroppo eventi di questo genere accadono quasi quotidianamente nel mondo, ma solo quelli più “vicini” a noi hanno il potere di generare interrogativi; forse è uno dei loro scopi. La domanda principale può probabilmente esprimersi così: di chi è la colpa? Oppure (che è la stessa cosa, vista da un angolo differente): esiste una colpa di qualcuno?

La risposta a questa domanda è anch’essa duplice, e dipende dalla scelta che ciascuno ha fatto, in definitiva, per condurre la propria vita. Millenni di anni di educazione improntata allo spirito del Vecchio Testamento sono la fonte di questa domanda: la Legge alla quale obbedire, il peccato per i disobbedienti e il conseguente castigo. Entrambe le risposte derivano anch’esse da questa educazione. Da un lato l’accettazione dei capricci di un Dio che, a sua inconoscibile discrezione, colpisce uomini, donne e bambini senza una apparente motivazione; dall’altro il rifiuto di questa idea, e un arroccamento che sfocia nell’ateismo e nel rifugio nell’illogico “caso”.

Il Cristo è venuto proprio per superare la Legge, invitando gli uomini a maturare dentro se stessi l’Amore che tutto comprende e perdona. Come conciliarlo allora con questi fatti? Lo strumento che ci può aiutare è una specie di “cannocchiale”, che sia capace di “allungare” la vista con la quale osserviamo gli avvenimenti. Il materialista ha una vista troppo “corta” per riuscire a risalire alle cause, che sicuramente esistono se è vero che tutto nell’universo è soggetto a leggi eterne ed immutabili. Le cause risalgono al destino che l’umanità si forma con il proprio comportamento, idea che sfugge anche all’uomo di Chiesa, a sua volta chiuso nel principio del premio e castigo. Non vi sono né premi né castighi: ricordiamo che tutto quello che avviene nel piano fisico ha un unico obiettivo: l’insegnamento, applicato ad errori compiuti magari in molte vite precedenti.

Come dimostrare allora di comprendere ed applicare questo insegnamento? Abbiamo detto all’inizio che quando questi eventi ci sono prossimi, ci “toccano” intimamente: è il segnale che sono diretti anche verso di  noi. Tralasciamo i destini individuali delle vittime (non è nostro compito scandagliare questo aspetto, che tra l’altro non ci riguarda e che non conosciamo), ma come destino collettivo è chiaro che siamo chiamati anche noi, nella misura in cui ciò ci è possibile, a rispondere al richiamo con la solidarietà e l’amore di cui siamo individualmente capaci, e imparando a non ripete gli errori commessi.

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