7-8/09 - Tra Pubblico e Privato

Sotto molteplici punti di vista è di attualità la dicotomia fra “pubblico” e “privato”. Ma prima di chiederci, come si fa di solito, quale sia il confine fra i due campi, e quanto sia lecito inoltrarsi, da parte del pubblico, nel campo del privato e viceversa, dovremmo forse domandarci se effettivamente detta dicotomia sia reale o solo apparente, e se è corretto considerare i due campi come necessariamente impermeabili l’uno all’altro.

Concepire il bene personale come concorrente rispetto al bene pubblico, porta a cercare il primo a scapito del secondo, convinti che quest’ultimo ne sia un ostacolo. Questa convinzione dipende da uno sguardo sulla realtà centrato unicamente sull’aspetto materiale. In un suo studio, il costituzionalista Zagrebelski ha evidenziato che a differenza dei beni materiali, il cui uso ne causa il depauperamento e la diminuzione, l’uso della cultura la fa crescere, ed è il suo non uso a causarne la diminuzione. È esattamente quello che diciamo noi, quando affermiamo che solo se ci ancoriamo alla dimensione materiale abbiamo la convinzione di dover lottare contro altri per accaparrarci il “tesoro”, mentre se innalziamo lo sguardo al cielo ben presto ci accorgiamo che in quella dimensione tutto è contemporaneamente di tutti e di ciascuno, ed è inesauribile, non producendo perciò scorie come avviene per i beni materiali.

Quello che la vita spirituale insegna, però, va ancora oltre, perché se il nostro comportamento è coerente con le sue leggi l’inesauribilità comincia a valere anche per le risorse fisiche, nel senso che avremo sempre quello che “ci basta” per vivere. È il significato delle parole del Cristo: “Guardate i gigli dei campi, neppure Salomone poteva vantare un abito più bello di quello che il Padre ha riservato loro; ma voi che siete molto più importanti, volete che il Padre vostro non abbia pensato alle vostre necessità?”. È allora solo l’egoismo, frutto dell’ignoranza delle leggi dello spirito, che ci tiene prigionieri in quella lotta per il dominio, producendo da una parte miseria, e dall’altra una sfacciata, inutile e anzi dannosa sovrabbondanza, per difendere la quale siamo disposti ad ogni bassezza. Basta guardare lo stile di vita di chi la possiede, che crede così di difendere il suo diritto e cade invece nel suo esatto opposto: la schiavitù verso le cose (e anche le persone per lui, a questo punto, diventano “cose”), alle quali prostituisce la propria eredità spirituale interiore.

Allora il privato cerca di conquistare il pubblico e il pubblico il privato, senza accorgersi che in realtà è solo guardando al bene altrui che facciamo davvero “i nostri interessi”.

Nessun commento: